Il coltello Sardo nasce sostanzialmente con l’attività umana. Lame di selce ed ossidiana sono state rinvenute nei principali siti nuragici, e l’abilità nella lavorazione del bronzo fu uno dei motivi del successo della civiltà nuragica per un millennio.
Con l’avvento della metallurgia moderna in Sardegna si assiste allo sviluppo della leppa, che storicamente è utilizzata sia come arma sia come utensile per le attività domestica. La lama della leppa, fissa e simile a quella di una piccola sciabola, verrà sostituita tra la fine del ‘800 e l’inizio del ‘900 con il coltello a serramanico.
Nelle varie aree della Sardegna il coltello a serramanico si sviluppa in maniera differente più che altro come forma della lama.
Le tipologie principali del coltello sardo a serramanico come oggi viene considerato sono:
– Pattadese: coltello multiuso a serramanico, caratterizzato da una lama snella, piuttosto dritta e punta affilata.
Manico anch’esso regolare e dritto al fine di poter accogliere al meglio la lama.
La foggia del manico, nella modalità più comune, è composta con due guancette di corno di bovino e ribattini e ghiera in ottone o acciaio.
– Arburesa: coltello multiuso a serramanico, caratterizzato da una lama panciuta e generalmente di dimensioni più grosse della pattadese.
Manico spesso ricurvo al fine di poter accogliere al meglio la lama. Spesso il manico è ricavato da un unico pezzo di corno, o fatto in pregiato ginepro sardo.
La ghiera ed il perno sono generalmente in ottone o acciaio.
– Guspinesa: questo particolare coltello a serramanico ha l’estremità della lama priva di punta.
Nei primi del 900 questo tipo di coltello, peraltro efficacissimo in fase di taglio, divenne molto diffuso con la legge Giolitti del 1908, che limitava notevolmente il porto di coltelli.